Le comunità sono una grande occasione di recupero per chi ha violato la legge. Solo dieci persone su cento, tra quelle che hanno fruito di un’esperienza comunitaria o di altre misure alternative al carcere, hanno di nuovo problemi con la giustizia, mentre chi sconta la pena in carcere, una volta libero, torna dietro le sbarre nel settanta per cento dei casi.

Nel carcere il ragazzo non perde solo la libertà, ma molto di più.

Vive assistito, perché è costretto a dipendere dagli altri per ogni cosa: mangiare, governarsi, vivere. Gli è impedito di mettere a frutto le proprie potenzialità, non può rendersi utile né a sé né agli altri. Non può avere un lavoro che gli permetta di progettarsi una vita, non è in condizione di maturare quel senso di responsabilità che lo aiuta a diventare adulto.

Spesso viene a contatto con altri ragazzi o adulti che hanno più problemi di lui e lo espongono al rischio di uscire dal carcere in condizioni peggiori di quando c’è entrato.

Consapevoli del danno enorme che tutto questo provoca ai ragazzi, e di riflesso alla società, ci siamo convinti che il recupero debba passare per una strada molto diversa.

La Collina si rivolge a giovani cui la Magistratura di sorveglianza consente di fruire di misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario.

Giovani di tutte le parti d’Italia e del mondo, non solo sardi.

Da noi il ragazzo ospite è seguito dagli “operatori di condivisione”, figure autorevoli di educatori che lo aiutano a riprendere in mano la vita. Gli operatori, a turno, passano con lui l’intera giornata, affiancandolo nel lavoro e nelle attività comunitarie: lo supportano nelle necessità quotidiane, lo sostengono nei momenti difficili.

Gli prospettano un’opportunità di crescita, strumenti per riacquistare fiducia in se stesso.

A contatto con altri giovani che hanno vissuto esperienze di disagio o emarginazione simili alla sua, il ragazzo si confronta, capisce che non è solo con i suoi problemi, rielabora il proprio vissuto, ragiona sulla sua vita precedente e instaura relazioni costruttive con gli altri.

Entra in contatto con la diversità, non per contrapporsi ma per arricchirsi e aprirsi al “diverso da sé”. E il suo mondo diventa più grande. Più libero.

In Collina può incontrare i familiari e gli amici, può uscire accompagnato dagli operatori, frequentare persone diverse da lui per origine, cultura, religione; può andare a scuola e talvolta lavorare all’esterno. Può partecipare a pieno titolo, e da protagonista, agli incontri e alle attività culturali e ricreative della Comunità.

Tutto ciò non significa che può fare quello che vuole.

Per stare in Collina ci sono regole precise e rigide da rispettare, e non si pratica nessun tipo di assistenzialismo: ognuno ha un lavoro e dei compiti da svolgere, e deve vivere di questo. Gli educatori accompagnano i ragazzi nel cammino ma non si sostituiscono mai a loro. Il ragazzo impara ad assumersi le sue responsabilità e a riacquistare la propria dignità attraverso il lavoro e i compiti assegnati.

È questo il riscatto che noi possiamo offrirgli.

Perché ci interessa il dopo.

Vogliamo che quando escono dalla Comunità, i ragazzi abbiano imparato a camminare con le proprie gambe e a guardar dritto davanti a sé, con orgoglio e schiena dritta.

Non è compito da poco. Ma è questo l’obiettivo per cui da oltre vent’anni ci battiamo.